”Poor things” di Lanthimos: che dire? Film ricco di colori, sfumature, riflessioni, conduce lo spettatore in un mondo “altro”. Questo film di Lanthimos è per noi il migliore dei suoi lavori: convincente, ispirato, non lascia nulla al caso. Moltissime le citazioni letterarie e cinematografiche, una in particolare: Hanna Schygulla, “Martha”, omaggio al grande Fassbinder (oltre che il continuo rimando fassbinderiano nella fotografia).
Bella è una donna, un mostro, una creatura, è figlia e madre di se stessa: tanti gli spunti psicanalitici, in particolare nelle confessioni di Godwin, padre di Bella, sulla propria infanzia. I genitori creano e uccidono, storpiano, distruggono, senza un senso logico, solo perché feroci e crudeli in quanto umani. La crudeltà regna sovrana anche in questo film. Ma perché fa sorridere o ridere? Lanthimos qui usa un semplice stratagemma comunicativo: ci dice che le conquiste di Bella sono un dato acquisito per chiunque abbia letto Freud, la letteratura russa, Emerson e Marx. Considerare ribelle una donna che balla da sola, fa del sesso con chi vuole, decide di se stessa e del proprio corpo… Beh può farlo solo chi ha il cervello di una capra o chi finisce al manicomio. Lanthimos quindi ci presenta il mondo al contrario: dove si può crescere anche se diversi, si può esplorare, conoscere e sbagliare, anche se donne, e alla fine costruire una propria realtà più o meno felice. Il riso che suscita il film è quindi viscerale, autentico e universale: chi non capisce il film, ride per il grottesco che vi è rappresentato, chi l’ha capito ride per la sensazione di libertà nel vedersi così soavemente riconosciuto.